Erano circa le 9 di mattina quando un commando di uomini appartenenti alle Brigate Rosse, travestiti con uniformi da avieri civili, bloccò all’inizio di via Fani, nel quartiere Trionfale a Roma, il piccolo convoglio composto da due auto in cui viaggiava il democristiano Aldo Moro, uscito da pochi minuti dalla sua residenza per recarsi a Montecitorio, dove in giornata sarebbe stato presentato il quarto governo Andreotti.
La strage di via Fani
Fecero fuoco trucidando i due carabinieri e i tre poliziotti che componevano la scorta dell’onorevole: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi.
Il sequestro di Aldo Moro
Moro venne condotto in una casa in un isolato quartiere in zona Boccea, sempre nella capitale. La notizia del rapimento si diffuse velocemente in tutta la nazione, a Roma i negozi abbassarono le saracinesche e gli alunni uscirono prima da scuola, mentre in tutta la città si scatenava un’inutile caccia ai sequestratori.
Motivo di questo ennesimo gesto eversivo delle BR era da ricercarsi nella loro opposizione a quell’avvicinamento politico tra DC e PCI che si stava compiendo in quegli anni e di cui Moro era l’artefice. Con il partito comunista nel governo sarebbe venuta meno la prospettiva di una presa del potere rivoluzionaria contro il capitalismo come era auspicato dall’associazione terroristica. Per Moro cominciava una sofferente prigionia di 55 giorni.